A seguito della riforma della crisi d’impresa è aumentato in modo esponenziale l’interesse per una disciplina affascinante qual è quella legata al controllo di gestione. Certamente nel momento in cui tutti siano d’accordo a tradurre il trafiletto dell’art. 2086 c.c “assetti organizzativi adeguati” come “Controllo di Gestione”, risulta chiaro come gli addetti ai lavori si rivolgano a questo mercato con maggiore enfasi visto appunto l’obbligatorietà ma soprattutto i rischi che l’imprenditore corre nel momento in cui non adempie a quanto previsto.
Dal mio punto di vista però c’è da fare un preciso distinguo tra quelli che sono gli strumenti solo legati ad una diagnosi e i modelli che, oltre la diagnosi indicano anche la cura. Tutto rientra però nell’ampio calderone del “Controllo di Gestione” e, stiamone certi, l’immediato futuro vedrà due tipologie di figure:
- Analisti che definiranno in modo puntuale lo stato di salute dell’azienda, evidenziando correttamente i primi segnali di crisi facendo sì che la norma, nel suo insieme, sia rispettata. Questo genere di professionisti sarà la maggioranza.
- Consulenti d’impresa/controller che, oltre ad analizzare lo stato di salute dell’azienda cliente, saranno in grado di indicare le cure. Questo genere di professionisti sarà la minoranza.
La seconda tipologia comprende la prima e va ben oltre, andando ad isolare il problema ed indicando all’imprenditore le possibili soluzioni. Già, perché dopo la diagnosi, soprattutto se questa rileva criticità tali da rendere improcastinabile un intervento concreto, la domanda da cento milioni di € sarà certamente questa: “Ed ora dottore, che si fa?”
A questo punto c’è da capire dove tendere, a quale modello di “Controllo di Gestione” puntare; se fermarsi alla prima tipologia che io correttamente individuerei più semplicemente come “analisi di bilancio”, buona per un intervento a spot e che vedrà tra le altre cose un’oceanica concorrenza oppure provare ad andare oltre, tendendo al controllo di gestione vero e proprio, quello per intenderci posto in essere dalle industrie ben strutturate (che certamente non pagano fior di quattrini a specialisti solo per fermarsi ad un’analisi dello stato di salute dell’impresa stessa) nonché volto a garantire un continuo e costante affiancamento all’imprenditore. Fatto questo distinguo bisognerà poi capire quale formazione affrontare e, siccome abbiamo detto che l’”analisi di bilancio” ed il “Controllo di Gestione” vero e proprio spesso vengono indistintamente posizionati in un unico calderone (forse anche con un pizzico di malizia da chi propone formazione a pagamento), provo ad azzardare un metodo per fare la giusta distinzione al fine di ponderare bene le scelte.
Prima di valutare un percorso formativo direi che sia il caso di capire il modello da quale fonte prenderà i dati. Mi sento serafico nell’affermare che se i dati di partenza vengono presi per il 90% o più dalle scritture di contabilità generale (alias bilancio d’esercizio), quasi certamente quello NON E’ un corso in “Controllo di Gestione” ma un, seppur validissimo, corso in “analisi di bilancio”. Buono cioè a definire una diagnosi, sicuramente ben articolata, ma non sufficiente ad individuare una corretta cura.
Un corso di formazione che introduce ad un valido modello di “Controllo di Gestione” non si alimenterà di dati di bilancio nella misura maggiore di un 20, 30% al massimo. Il grosso delle rilevazioni va preso certamente altrove.
So che questo breve e semplice articolo potrà sembrare antipatico a qualcuno che, magari in buona fede, si è formato su modelli spiccatamente legati all’analisi di bilancio e che può sentirsi colto nel vivo nel momento in cui legge questa sorta di “discriminazione”. Rimane tuttavia un mio parere maturato in seno ad una personale esperienza e spero quindi non me ne voglia nessuno. Credo tuttavia vada fatta chiarezza nel momento in cui si decida di puntare ad un nuovo servizio da proporre ai clienti, propedeutico ad uno o più percorsi formativi ben calibrati e correttamente interpretati, fugando ogni dubbio ed eliminando ogni rischio di intraprendere una strada per poi trovarsi “da un’altra parte”.
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