Si parla tanto di controllo di gestione e di crisi d’impresa, così come della figura dell’esperto all’interno della composizione negoziata ed al consulente chiamato ad affiancare l’imprenditore relativamente la redazione del piano finanziario industriale. Tutti discorsi interessanti per carità, però spesso mi pare si perda di vista il fine ultimo di un buon sistema di programmazione e controllo, che non è solo “misurare” (di sole misure si muore), ma anche e soprattutto “intervenire”. Il mio pensiero tuttavia in merito alle ristrutturazioni aziendali, in particolar modo alla ricerca dell’equilibrio economico finanziario rimane sempre grossomodo lo stesso: intervenire principalmente lì dove la ricchezza si crea, cioè nei reparti produttivi, presso le fasi che generano (o dovrebbero) generare valore.
Il problema su cui vorrei concentrarmi oggi è certamente l’incremento incontrollato del costo dell’energia e delle materie prime. Interventi governativi a parte, l’unico modo che si ha per combattere tali incrementi è intervenire sugli sprechi. Nell’ottica lean gli sprechi (muda) sono 7:
1) Trasporto: l’eccessivo spostamento di materiali riguarda attività che non creano valore aggiunto per il cliente
2) Inventario: un eccesso di scorte serve solo per coprire problemi più profondi, oltre che incrementare il working capital con tutti i costi ad esso annessi
3) Movimento: eccessive movimentazioni e rimovimentazioni di persone e materiale lungo il flusso produttivo è garanzia di spreco
4) Attesa: ogniqualvolta merci e materiali, oltre che persone, sono ferme in attesa, si genera uno spreco
5) Sovrapproduzione: produrre di più di ciò che realmente serve (domanda del cliente) porta a spreco. Questo muda generalmente porta con sé tutti gli altri 6 sprechi
6) Sovraelaborazione: tutte quelle caratteristiche (spesso optional compresi nel prodotto) che non sono percepiti dal cliente come utili sono sprechi
7) Difetti: che generano rilavorazioni e scarti
Mi concentrerei sui punti 3,4 e 7. In merito al punto 3, le eccessive movimentazioni e, soprattutto, le rimovimentazioni comportano dei tempi morti. Tempi per i quali la manodopera viene comunque pagata e i macchinari quasi certamente rimangono accessi. Lo stesso discorso vale per le attese (punto 4); difficile immaginare un forno, in attesa di materiale, che venga spento e poi riacceso a seconda della disponibilità dei prodotti da lavorare. Lo stesso discorso vale per le linee automatiche; difficilmente una linea verrebbe spenta a seguito di attese e/o microfermate (dovute in questo caso a guasti). Il punto 7 invece oltre che generare tempi morti dovuti a rilavorazioni, con contestuale perdita di tempo lavoro sia uomo che macchina, genera ulteriormente spreco di materia prima.
Ricapitolando, un processo produttivo scarsamente teso e mal bilanciato comporta dispendio di tempo e di materiale. Il costo legato al tempo si traduce in costo manodopera sprecato per attese, rilavorazioni, eccessive movimentazioni ecc.. Si traduce ancora in macchinari in attesa di materiali o dediti a rilavorazione, ma pur sempre accessi e destinati a consumare energia a vuoto. Il tutto spesso condito da elevata difettosità del prodotto finito e quindi in aggiunta a quanto descritto ulteriore spreco di materia prima oltre che danno di immagine presso i clienti.
Il controllo di gestione sta subendo un repentino ampliamento dei propri orizzonti. Il controller non dev’essere solo bravo ad analizzare, ma deve essere in grado di trovare le soluzioni più idonee che possano migliorare la redditività aziendale, intervenendo anche sugli sprechi di materia prima ed energia. Se vogliamo gestire la crisi d’impresa senza fossilizzarci solo sull’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili così come previsto dal 2086 c.c., dobbiamo ampliare i nostri orizzonti ed essere pronti a pensare in modo differente. Per chi vuole parleremo di questo ed altro al nostro prossimo corso “Diventa un controller”, per info e date cliccare qui